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Una partita come quelle di una volta

 

(articolo tratto da Bolognarugby.it)

Il Pieve si sta giocando la vittoria del campionato, sono secondi a 4 punti dai primi, mentre i Dragons stanno semplicemente giocando nello stesso campionato e cercando di far crescere una squadra composta per la maggioranza da esordienti.
Un sabato primaverile strano con un clima bizzarro il cielo coperto e un calduccio infreddolito. Le due squadre si salutano e poi si schierano.
Il Pieve prende posto con il piglio baldanzoso di chi vuol solo provare gli schemi in vista della partita decisiva in programma domenica prossima, i Dragons con il piglio deciso di chi vuole confermare i progressi effettuati e raccogliere i risultati di un anno di sofferenze.
La partita si incanala nel solco prevedibile della superiorità dei pivini e i draghi che difendono e come difendono, che è un anno che si difendono e hanno imparato a farlo molto bene.
Con due mete di vantaggio il Pieve ne incassa una e si sorprende, quella meta, quella della bandiera, la potevano anche mettere in conto (non così presto però) ma nel conto non ci stava proprio dover anche stazionare nella propria metà campo e rischiare di prenderne un'altra.
Punizione a 5 metri a favore dei castellani, l'apertura la gioca veloce ne schiva uno, resiste a un'altro, cambio di direzione e due giocatori del Pieve disorientati dalla serpentina si inzuccano di brutta e cadono a terra tramortiti. L'arbitro ferma l'azione sulla meta quasi fatta e si soccorrono i feriti che sanguinano abbondantemente.
Con il sospetto di trauma cranico scatta un protocollo medico di estrema sicurezza, la partita si ferma per tutto il tempo necessario al soccorso degli infortunati che rimangono a lungo sdraiati per terra per consentire le valutazioni mediche e le operazioni conseguenti.
Questa prassi e quanto di più positivo sia stato introdotto nel rugby "moderno" tutti ne hanno coscienza e viene accettato con la massima consapevolezza.
Nel rugby, però, antico e moderno convivono bellamente e nella lunga pausa i giocatori del Pieve forse maturano la paura di perdere, e quelli di Castello magari cominciano a sperare in una vittoria, così alla ripresa del gioco gli scontri si fanno più duri e la fisicità prevale sull'eleganza.
Nel rugby "antico" un contatto rude a volte viene interpretato come una cattiveria volontaria alla quale si risponde con altrettanta determinazione, il nervosismo da uno stato emotivo ha la possibilità di prendere corpo diventa concreto, materiale e il più delle volte si trasforma in un pugno, un colpo, una manata.
Queste situazioni si incontrano con frequenza sui campi da rugby e di solito scattano adeguate contromisure, l'arbitro prende in mano la situazione, volano i cartellini gialli, gli allenatori cominciano a redarguire o anche a sostituire i giocatori più "nervosi". Questa volta però l'arbitro era esordiente in questa categoria, il cielo era grigio e freddo, e gli allenatori erano umani e non supereroi paladini di un mondo perfetto.
Infatti dalle panchine si cominciano a sentire delle urla, che si trasformano in parolacce che si trasformano in fronteggiamenti minacciosi che si trasformano in un corpo a corpo, i giocatori in campo nel vedere i cazzotti che volano sulla linea di touche, abbandonano tutto e corrono in direzione dei loro condottieri per sostenerli o difenderli, Fatto sta che scoppia una rissa generale, una rissa di quelle che coinvolge tutti, di quelle che chi interviene per separare in un attimo si ritrova coinvolto e mena anche lui, una rissa come quelle "di una volta" che dopo un po' si interrompono da sole e che si concludono con i due responsabili che escono dal campo con calma come se quello che è successo fosse del tutto normale.
Sul terrapieno di fronte alle panchine tutti gli spettatori hanno cominciato a dondolare la testa come se fossero campane in un giorno di festa, la meraviglia si mescolava al disappunto, pivini e castellani concordavano nel censurare l'accaduto, ma non c'è stato tempo per iniziare i commenti perchè i giocatori del Pieve che erano rientrati nella loro metà campo hanno cominciato a litigare e picchiarsi fra di loro, divisi tra che voleva cambiare sport e trasformare il rugby in boxe e chi voleva continuare a giocare quello con la palla ovale, il rispetto dell'avversario e tutto il contorno di valori e di comportamenti che ne consegue.
La partita è continuata sul cammino impervio tra "antico" e "moderno" dove il gioco si mescola con la battaglia, un passaggio con una gomitata, un placcaggio con un pugno, tutto in silenzio, senza proteste o lamentele rivolte all'arbitro, perchè lui guarda se c'è avanti o fuori gioco ma in campo le regole adesso sono diverse, si fanno lì per lì e in qualche maniera si rispettano anche.
La partita a un certo punto finisce, debiti e crediti si considerano saldati e ci si abbraccia a centro campo senza rancori, tutti eroi della stessa battaglia. Si guardano i lividi sulle facce dei compagni e degli avversari e solo si immaginano quelli sulla nostra, quelli che lunedì ci chiederanno "cosa hai fatto li'?" e noi risponderemo "niente ho giocato sabato".
L'hurrà finale è più sentito delle altre volte.
Alla fine gli allenatori sono entrati insieme negli spogliatoi e hanno chiesto scusa ai ragazzi, al terzo tempo hanno mangiato tutti con gusto e la partita l'ha vinta il Pieve una quarantina a 12,

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